Bisognerebbe disporre di una lingua nuova per scrivere di Silvia Comoglio: di una lingua all’altezza del suo “italiano così intensamente pensato nella lingua delle origini”, come lo definisce Elio Grasso nella postfazione a questo bellissimo Afasia (Anterem, 2021), forse l’opera più compiuta della poetessa piemontese. Compiuta proprio per il suo rinunciare a ogni tentativo di compiutezza. È un discorso poetico condotto per frammenti, scandito da figure ricorrenti -la terra, il bosco, la nudità…- che si eleva a dichiarazione di un amore transitivo e intransitivo, non dicibile, risolvibile solo con l’elicitazione di tutte le potenzialità della parola. Coi suoi vocaboli scomposti, spesso forzati nella sillabazione e negli accenti, coi suoi punti esclamativi a sorpresa, Comoglio “attiva le occasioni ottiche del lettore, che ascolta vedendo e guarda udendo in pienezza di sensi” (ancora dalla postfazione di Elio Grasso). Dell’amore, insegna Roland Barthes, si può dire solo a frammenti. Ma questi frammenti sono una totalità e rinviano a loro volta a un tutto. Comoglio non crea significati, mette in moto interi campi semantici. Accumula visioni sonore, schegge di mondo primordiali, in uno stato apparentemente sonnambolico; ma ognuna delle sue visioni è legata all’insieme da vigorosi contrafforti; e l’insieme si regge su queste basi minuscole ma solidissime.
Terra di leggenda, a taglio germogliata,
la terra che ripara il tempo in sua fessura, in vor-
tice che bacia ore di cesura e il mondo, Della guancia!,
curvato in afasia, in punto, pìccolo di pietra, fiorito,
in volo, come addio, cóme Sempre che si sghemba –
in curve di nudi melograni virati in a-fasia —
Delle quattro sezioni in cui è suddiviso il libro –Afasia, Antimondo, Chiaroveggenza, Luminescenza– la prima, quella eponima, è la più lunga e corposa. La seconda raccoglie apparizioni e voci, embrioni di monologhi articolati lungo una trama di congiunzioni e disgiunzioni -frequenti infatti le poesie che iniziano con (e) o (ma)– fino alla liberatoria dichiarazione finale:
l’antimondo! è il solo punto
in cui l’alba si sorride: il forte
bacio di chi bacia noi che siamo
tutti – i paradisi!
La terza sezione, Chiaroveggenza, ha un tono più sapienziale, e inanella corruschi aforismi e misteriose dichiarazioni:
l’illusione, sapete, è sempre così sapiente,
ordine di scie archetipe di mondi a-
vidi di mondi
[è tutta, tutta-morta!, la luna che si sente
tánto, stanca-stanca!, nel tempo di paura
ho-fatto-il-sogno dell’orso dentro al mondo,
di te-che-cerchi il bosco dopo il mondo
Luminescenza, infine, si presenta come la parte più risolta, ma anche la più spasmodica, del poema:
l’ombra era il sogno –
di credere di averti, la riva che visse,
al largo del suo corpo, a prestito di tempi
ìntegri di mondo –
Siate buono, bimbo mio, dove
do sogno di vedervi, e la notte
è solo foglia e il bosco ancora mio,
ancora stretto ai polsi e ancora –
solo, solo mio, “ancora, a prua,
sulla barca, nel recinto delle ombre,
nel luogo eterno e inesistente
di case e di roseti, di impronte –
slacciate, slacciate fino in fondo,
ad obolo che cresce in eccesso –
di lunghi baci lunghi
cullati a terra di rimbalzo –
Nel corso del suo viaggio, l’autrice non si presenta mai come soggetto: “La forma della poesia è lo spazio poetico che la poetessa si ritaglia nel proprio destino ritmico, restando assente come io lirico”, scrive Elio Grasso. Silvia Comoglio resta in ascolto della risonanza amorosa del mondo, e in essa si identifica.
Molto intensi tutti questi versi! Grazie
A te di venirmi a trovare. E a Silvia per i suoi versi.
Non perdo nessuno dei tuoi post! Mi arricchiscono! (Sono affamata di Bellezza!)
Buona serata.
Adesso si vede la Roma… vabbè, un po’ di leggerezza ci vuole!