…Questo
è il martirio cocente: non essere
ascoltati dal cielo, sentire il sangue
avvelenato e non riuscire a fermarlo,
provare a fallire a stanare il corpo
come se ci fosse un ladro dentro la casa
asettica, scavata, da anni abbandonata.
Sono immagini di disperata violenza quelle di Eleonora Rimolo nella sua ultima e più matura raccolta, Prossimo e remoto (peQuod, 2022, postfazione di Milo De Angelis). Immagini che non sfuggono l’incubo, che non hanno paura dell’estremo. Che mettono in scena un io poetico furibondo, stanco di vita per troppo fervore di vita, incapace di pace. L’esistenza è una chiamata alle armi alla quale quest’io non si oppone, ma per cui sembra aver perso entusiasmo:
Anche se per mesi non apriamo le finestre
ogni volta uscire è rispondere al richiamo
delle armi. Ogni volta è piegarsi, correre,
riconquistare la posizione e poi specchiarsi
dentro i vetri opachi delle case, fermarsi
mentre la muffa brucia il respiro e il sole
ferisce la stanza, alza il velo della tenda
e ti bacia la fronte come uno sposo posa
le labbra sulla terra che ama. È una fatica
necessaria, selvatica: è la guerra che chiama,
la premura del riposo, l’antico riparo.
Lancinanti i passi che rimandano a una piaga, a un taglio, a una percussione:
… Basterebbe un colpo netto
per tranciare la carne e questi tessuti non avrebbero
più nessuna cura di te: oggi il tempo non cala dall’alto,
non è un colpo di bastone al collo, le madri invecchiano.
Ogni legame, ogni sentimento umano è il rinnovarsi della ferita:
… vi sento come il taglio
involontario del coltello tra le falangi
Ogni poesia è rivolta a un Tu che, anziché dar conforto, sparge sale sulla ferita, ne rende più acuminata la coscienza: un Tu all’ombra del quale ogni giorno è una morte, nel quale non ci si smarrisce con la gioia dell’eros, ma ci si aliena nella necessità impersonale del conflitto:
Come dire che questo libro è scritto
per te, per il lutto indossato ogni giorno
A volte la macchina del mondo si ferma
con un lungo fischio ed io non so
quale passato usare mentre riposi,
se tu mi sia remoto o prossimo.
Annientare ed essere annientati è la cupa legge che presiede ai rapporti umani. Viene a mente una frase di Houellebecq, autore caro alla Rimolo, che recita: “Giovinezza, bellezza, forza: i criteri dell’amore fisico sono esattamente gli stessi del nazismo.” Anche dell’amore l’autrice coglie le implicazioni di violenza e di potere, il fondo di conflitto. Non una sfida alla morte dunque, ma una delle numerose morti di cui è intessuto l’esistere:
E ora noi così piccoli e così vecchi, noi
troppo vicini dentro scatole colorate
sappiamo sperare nella collisione finale,
nello scontro rumoroso della materia gigante
con un corpo solo che non contiene
ma respinge e deflagra sporcando tutto.
Una poesia dura, piena di urlo e dolore, colta nella forma e ferina nei contenuti:
… nascere è stato
questo amaro avere negli occhi le schegge,
un crescere cieco senza germogli, incolta
natura che offende e decide tutto.
Eleonora Rimolo è nata nel 1991. Ci si può chiedere come possa una poesia così violenta e cupa convivere con la giovinezza. In realtà e il contrario. Solo in una sensibilità giovanile si poteva dare una percezione così tragica, così nuda di fronte alla materia oscura della vita. In questa poesia, Eleonora si ribella alle radici stesse dell’esistere.