In quasi tutti i diciassette testi che compongono questo brevissimo poemetto (Via Crucis, puntoacapo, 2014) il ritmo è faticoso e scandito: è il ritmo di una durissima salita. Silvia Comoglio attinge a tutta la fatica della lingua per restituire almeno un po’ dell’orrore della via crucis. La sua originalissima sillabazione delle parole e la dilatazione degli spazi bianchi creano pause che scavano il ritmo del verso, come se il dire fosse stato per un attimo piegato, spezzato da una fatica disumana. Ecco la Nona Stazione – Gesù cade per la terza volta:
Sopito è forse l’amore intorno
che di nuovo è nuovo ricadere, a farsi carità,
essenza verticale nata in visi immensi,
ebbra sola voce mossa dal suono di se stessa,
da reggersi col soffio, incessante e a nuovo palmo,
dell’ultimo mio sguardo? Gli occhi, solo gli occhi,
fusi con le rocce plasmano di stella il punto in cui si apre
un monte in lontananza, in cui mondi –
scintillano di notte a sorgente di pura frasca,
a turbine di moti, risorti, a vortice sull’acqua –
nel bagliore dell’unica Parola che immobile si spande
serbando ripetutamente l’ora e sempre vissuto a prima volta,
il passo tuo di nebbia venuta a sabbia di cicala —
Ed ecco la toccante Decima Stazione – Gesù è spogliato delle vesti:
Io, la rondine di Dio, sprotetta e sfigurata,
venni qui sospinta nel tempo che è comune –
ombra già dismessa, inerme mondo di paura
che disfa a casa vuota il margine pietoso
tra il corpo e questa croce, un’orazione povera a silenzio,
tessuta in doppio filo, come calco, cálco –
di un ventre enigma a dismisura, “io –
la rondine di Dio, venni qui sospinta, nuda e sfigurata,
nell’aria diventata orma non di scherno, ma di bocca –
furiosa del suo affanno, di un grido tutto già riposto
sull’uscio appena aperto, dove nascere e morire
è istante denso e nominato, refolo che cresce
sul rivolo di un giorno – etérno – di farfalle –
Questa feroce scansione ritmica -una scansione per nulla pedante, eppure tenacissima- s’interrompe solo in due momenti: al momento della morte di Gesù e nella poesia finale, intitolata Terezin, che porta quest’esergo: “Margit Koretzovà (Terezin, 1942-1944) disegnò a Terezin Le farfalle. Il disegno è esposto nella sinagoga Pinkasova di Praga”. Inutile insistere sulla forza dell’accostamento simbolico tra la Passione di Cristo e la Shoah. Ancora più forza ha il gesto di deporre le armi del ritmo e del suono davanti alla morte di Gesù e a quella di una bambina ebrea. Entrambi i componimenti, i più eterei della raccolta, segnano una liberazione dal male che è, al tempo stesso, una desolata caduta nel vuoto.
(fotografia: disegno di Margit Koretzovà)