Dal mio punto di osservazione, osservo. È il privilegio di non avere una vita. Liberarsi dall’ingombro dell’io, trasformarsi in puro punto di vista. Gli aerei che volano. Le macchine. Negozi aperti per nessuno. Le parole degli uccelli che cadono giù dai rami. Il rimbombo della musica di un baraccone. Camion che scaricano merci -per chi? Ascolto uno scampanìo di bottiglie e non vedo i bevitori. Passano giovani come fantasmi scampati a un’inondazione. Sembra che l’umidità dell’aria li abbia sommersi. È finito l’impero romano. È caduto, i messi non sono ancora arrivati, ma ne parlano gli uccelli, gli ideogrammi funebri degli uccelli che cadono giù dai rami. La rivoluzione francese deve ancora arrivare, la croce sulle chiese è la croce di Ildebrando di Soana, San Francesco e Rousseau devono ancora venire a trasformare gli schiavi in uomini liberi. Il borgo vivrebbe anche senza di noi. Le foglie si accartoccerebbero e diventerebbero rosse, i bambù del ristorante di pesce -aperto per chi?- diventerebbero decrepiti e poi diventerebbero morti. I ristoranti cafoni, l’insegna che lampeggia APERTO, i biliardini, resterebbero tutti come fossili dopo un’inondazione. Gli uccelli manderebbero i loro segni a un vento libero di parole. Passerà la vita del borgo, resterà il borgo.

La vita del borgo
Pubblicato il di Giorgio Galli
Pubblicato da Giorgio Galli
Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 e si è laureato in Scienze della Comunicazione a Siena. Vive a Roma dove per due anni ha gestito una libreria indipendente. Ha pubblicato "La parte muta del canto" (Joker, 2016), "Le morti felici" (Il Canneto, 2018) e la raccolta di poesie "Canzonacce" (Delta3, 2021). Suoi interventi sono apparsi su blog e riviste. Suo è anche il blog di fotografia "Risguardi" (https://risguardigalli.wordpress.com/) Mostra tutti gli articoli di Giorgio Galli